29 aprile 2008

I TIFOSI INGLESI NON SONO SOLO MANGIATORI DI SANDWICH CON I GAMBERETTI....


Molto severe le regole comportamentali da osservare negli impianti sportivi della Premier League. Così sono nati dei nutriti movimenti di supporter che chiedono il ritorno a quei bei vecchi tempi pieni d’atmosfera e passione.

Ormai sono molto di moda anche da noi, quelle che potremmo definire le regole comportamentali da rispettare all’interno di un impianto sportivo. In Inghilterra si chiamano ground rules e vengono prese molto, molto sul serio. Tra la sfilza di divieti che investono il tifoso inglese ce ne sono alcuni ormai accettati più o meno senza troppa fatica - in ogni impianto non si può più fumare, non si possono portare aste di bandiera, strumenti pirotecnici o alcolici sulle tribune (anche se si può bere presso i chioschi presenti all’interno), se si eccede con le parolacce o con atteggiamenti considerati intimidatori si può essere sbattuti fuori - e abbiamo visto con i nostri occhi che questa disposizione spesso viene presa alla lettera, con i trasgressori accompagnati fuori da zelanti steward. Ma ci sono anche regole che provocano il mal di pancia a tanti. In base alle disposizioni dettate dal Taylor Report (il rapporto stilato dopo la tragedia dello stadio Hillsborough di Sheffield, dove nel 1989 persero la vita 96 tifosi) e poi recepite dalla Football Licensing Authority, l’ente che si occupa di monitorare il rispetto delle norme negli stadi da parte dei tifosi, è vietato stare in piedi sui seggiolini. E qui nasce un bel casus belli. Da una parte ci sono i club, che auspicano il rispetto di questa regola, dall’altra un numero crescente di tifosi, nostalgici delle terraces, che non vogliono essere costretti a stare a sedere durante il match. Rimanendo in piedi, sostengono molti frequentatori delle arene britanniche, si aumenterebbe l’atmosfera e la passione, da anni in parte latitante negli all seater stadiums, dove musica sparata a palla a inizio partita o dopo un gol, tamburi di importazione latina e tubolari gonfi d’aria e di loghi degli sponsor - che fanno tanto basket americano e poco calcio inglese - ormai troppo spesso spadroneggiano più dei cori di incitamento alla squadra.
É nato allora un movimento trasversale, denominato Stand Up Sit Down (in piedi, seduti), che auspica un ritorno al passato, con la reintroduzione di porzioni di gradinate «sicure» (safe standing areas) in tutti gli stadi del Regno. «Perché i tifosi di rugby o gli appassionati di musica durante i concerti possono stare in piedi e noi invece no?» si chiedono, con più di un pizzico di fastidio, i promotori della campagna.
La loro iniziativa ha ricevuto migliaia di adesioni, sono nati dei movimenti su base locale - a Manchester quelli del City hanno messo su il The Atmosphere Action Group (il gruppo di azione per creare un’atmosfera adeguata sulle tribune), a Newcastle si è formato il Bring Back The Noise (riportiamo il rumore dentro lo stadio) - ma per adesso di un’inversione di tendenza non se ne parla nemmeno. Anzi, in più di un caso c’è da registrare una certa intransigenza. Nel novembre 2006 alcuni tifosi del West Ham, dotati di abbonamento nella Bobby Moore Stand, si sono visti negare l’entrata per i due match di campionato contro Arsenal e Sheffield United, poiché durante le precedenti partite si erano alzati in piedi troppo spesso. Ad alcuni loro cugini del Tottenham è andata anche peggio, visto che la «squalifica», ovvero la sospensione degli abbonamenti, è durata tre partite.
Certo, il proliferare di seggiolini in plastica ha cancellato il rischio di incidenti come quello di Ibrox nel 1971 o Hillsborough nel 1989 e ha enormemente ridotto la possibilità di aggregazione dei tifosi violenti, favorendo la separazione delle due tifoserie da parte della polizia. Come già accennato, però, ha anche dato una bella mazzata a quella che era una delle peculiarità più apprezzate del football dei maestri: l’atmosfera impareggiabile degli stadi, i cori spontanei cantati da migliaia di fan, il rumore assordante nelle fasi più calde delle partite. «I tifosi devono sostenere la squadra. Coloro che ci seguono in trasferta lo fanno alla grande, ma in casa forse troppa gente, dopo qualche drink e un po’ di sandwich ai gamberetti, non riesce a capire che cosa succede sul campo. Francamente non penso che alcune delle persone che vengono all’Old Trafford sappiano come si scrive correttamente la parola football, figuriamoci se riescono pure a capire in che cosa consiste». Lo sfogo risale a qualche anno fa, per la precisione al 2000, ciò nonostante è drammaticamente attuale. Ad esprimersi in maniera così schietta e senza peli sulla lingua su un certo imborghesimento dei tifosi è Roy Keane, un vero uomo di calcio. Uno che, non abbiamo dubbi, alla comodità di un box privato, tra coppe di champagne, piatti succulenti e una vetrata a protezione dalle intemperie, preferirebbe sempre un posto in qualche end - vecchia o nuova non importa - a pochi metri dai 22 giovanotti impegnati a rincorrere una sfera di cuoio.
Intendiamoci, tutto il calore e la passione di una volta non sono spariti, ma ci sono in dosi fin troppo rarefatte. In giro per il Paese, però, vi capiterà di vedere molte tifoserie in trasferta che non ci pensano nemmeno a piazzare le loro terga su un seggiolino. Beh, almeno lontano da casa non si rischia di perdere l’abbonamento. E poi i supporter più passionali condividono lo stesso credo in materia di modalità di sostegno della propria squadra, per cui è più semplice creare un «fronte compatto» - e gli steward spesso devono rinunciare a chiedere a decine e decine di persone di mettersi a sedere, tanto il loro sarebbe uno sforzo vano. Tuttavia in alcuni casi per dissuadere questo comportamento la Football Licensing Authority ha ridotto la disponibilità dei biglietti per le partite fuori casa (sorte toccata a club come Newcastle e Leeds). Però, a differenza dell’Italia post-Osservatorio del Viminale, oltre Manica il divieto alle trasferte scatta molto di rado.

da Il Manifesto del 6 Dicembre 2007

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